L'Isola in via Degli Uccelli by Uri Orlev

L'Isola in via Degli Uccelli by Uri Orlev

autore:Uri Orlev [Orlev, Uri]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Europe, Juvenile Fiction, Holocaust, Historical, General
ISBN: 9788862563239
Google: fgEEs9Fxd00C
editore: Salani
pubblicato: 2010-10-14T22:00:00+00:00


11

Il bunker

Avevo deciso di alzarmi prestissimo, quando la luce è ancora grigia. Così, pensavo, gli sciacalli diurni sarebbero stati ancora a letto e quelli notturni se ne sarebbero già tornati a casa. Ma nonostante il cinguettio degli uccelli al piano sopra al mio, non mi svegliai in tempo. Quando emersi dalla dispensa era già una bella giornata d’autunno. Mi stiracchiai e soffocai uno sbadiglio. Cercai di scorgere il portone d’ingresso ma non riuscii a vederlo. Il che voleva dire che chiunque fosse entrato nell’edificio non sarebbe riuscito a vedermi. Feci qualche passo avanti e il portone comparve. Ora vedevo anche le macerie sotto di me. Mi inginocchiai e con un gessetto rosso che avevo trovato nella stanza dei bambini della casa vicina tracciai per terra una linea che non dovevo superare stando in piedi. Poi tracciai una seconda linea in verde che non dovevo superare nemmeno carponi.

Mi sedetti sulla soglia della dispensa e feci colazione con Neve. Improvvisamente sentii un’automobile che risaliva la strada, dalla parte del ghetto. Buttai tutto dentro alla dispensa e chiusi la porta, malgrado sapessi che non era visibile da terra. Rimasi dov’ero, disteso sul pavimento.

Vennero dritti al numero 78. Che mandassero una macchina solo per me? Forse mi ero mosso tanto negli ultimi giorni che mi avevano sentito e preso per un gruppo di persone. Eppure avevo cercato di fare meno rumore possibile. Che qualcuno mi avesse visto sistemare la scala e venisse solo adesso a cercarmi? Dovevo calare dalla finestra la corda d’emergenza e scappar via. Mi preparai. Solo che Neve era dentro alla dispensa. Non avrei dovuto lasciarlo là, perché tirandolo fuori avrei fatto rumore.

Un gran gruppo di uomini entrò tra le rovine. Capivo che erano in molti dal rumore dei passi e dalle grida, che erano parte in tedesco e parte in yiddish. Uno disse delle parole in buon polacco e gli fu risposto in cattivo polacco. Sentii che trascinavano qualcosa sui detriti, e poi un ordine dato in tedesco. Picconate su un muro, mattoni che cadevano. Intonaco che si sgretolava e crollava a terra. Capii quello che stavano facendo e mi rilassai. Ne avevano già parlato la prima volta che erano arrivati lì a cercare il rifugio: stavano allargando l’apertura per esplorare la cantina.

Cercai di immaginare me stesso laggiù. Come mi sarei sentito a star lì seduto, impotente, facendomi piccolo, mentre sentivo i colpi dei martelli e dei picconi?

Gli uccelli del piano di sopra presero il volo e si dileguarono.

Non ci misero molto a sfondare l’apertura. Poi si udirono altri colpi. E grida soffocate dal fondo della cantina. Non stavano cercando me. Cercavano selvaggina più grossa. Poteva esser vero che sotto il pavimento della cantina in cui ero vissuto per dodici giorni ci fosse un rifugio con delle persone dentro? E che non li avessi sentiti fare il minimo rumore mentre loro sentivano me? O forse non mi avevano sentito nemmeno loro.

Papà e Boruch avevano parlato di rifugi del genere. Non fasulli come il nostro. Veri bunker, scavati profondamente nel sottosuolo, con acqua corrente e condotti mimetizzati per l’aria.



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